Le estensioni EME (Encrypted Media Extensions) permettono ai gestori di contenuti multimediali online di applicare una serie di “regole” per distribuire con criterio i vari files.
Il World Wide Web Consortium (W3C) ha deliberato che le EME sono un standard web e, i proprietari delle varie piattaforme multimediali, dovranno utilizzare appositi moduli detti CDM (Content Descryption Module) lato browser. Attualmente non ci sono standard per questi CDM, quindi la prospettiva potrebbe essere che diventino dei componenti aggiuntivi degli stessi browser.
Contenuti digitali: le grandi aziende scelgono HTML5 e CDM
Le più grandi aziende di streaming come Netflix e Spotify hanno espresso grande soddisfazione per l’approvazione delle EME e sono già al lavoro per implementare i CDM. Queste adesso, dovranno decidere come distribuire i contenuti tra due diverse modalità: applicazioni proprietarie o HTML5 e CDM.
I CDM dovrebbero avere la meglio su soluzioni proprietarie, in quanto sembrerebbero più sicuri e più rispettosi della recente normativa sulla privacy. Questi infatti, se operano in sandbox, possono accedere ad un ristretto numero di informazioni.
DRM: la tecnolgia contro i pirati informatici
Il DRM, Digital Rights Management, è una classe utilizzata dai produttori nata con lo stesso scopo di controllare i contenuti digitali. La sua prima versione si basava soprattutto sulla prevenzione delle copie, la seconda invece controlla la visione, la copie e l’alterazione dei contenuti.
Questo sistema si applica a molteplici contenuti, come e-book, cd musicali e film, e nel tempo, anche le più grandi aziende come Apple, Google, Sony e Amazon hanno utilizzato questa tecnologia per proteggere i propri contenuti.
Sull’utilizzo del DRM ci sono ovviamente varie opinioni, c’è chi li ritiene fondamentali per proteggere il diritto d’autore e chi sostiene che sono il “male supremo” per i piccoli produttori o che sono impossibili da studiare e migliorare.
Il DRM infatti è disponibile in due principali varianti, la prima è quella dei contratti di licenza, dove si controlla ad esempio l’accesso tramite login; la seconda è quella che prevede l’utilizzo di tecnologia crittografica che, insieme ai tag, controlla il prodotto anche dopo l’acquisto.
Contro il DRM ci sono anche i sostenitori della rete open source che vedono in questa tecnologia una minaccia per i piccoli produttori. Inoltre, secondo il Gigital Millennium Copyright Act, “bucare” i DRM è un reato anche in ambito legale. Questo vuol dire che nessuno, se non il proprietario, può studiare e migliorare i bug. Una tecnologia a dir loro “imposta dall’alto” con un livello di sicurezza discutibile, basti vedere i numerosi strumenti online per rimuovere i DRM da libri, musica, film e software.